D'altra parte l'avevo promesso che oggi sarei stata allegra e divertente, e almeno nelle intenzioni voglio provarci. E' che al momento (tra la prima frase e questa sono trascorsi almeno otto minuti di riflessione attenta e analitica) di cose divertenti in testa non me ne sono venute, e nemmeno una. Però potrei raccontarvi una storia, che è una storia che mi piace. E' la storia di un amore che nasce.
Avevo otto anni e, benché siano pochi, la vita mi aveva già preso a calci nel culo per i precedenti sette. Avevo otto anni e dormivo in una piccola camera soffice e azzurra, e dalla finestra entrava il mare - uno scorcio mozzafiato, con la sua cornice di aranceti e mimose. Era estate, l'aria dorata filtrava dalle persiane blu col suo pulviscolo immobile nell'afa del mattino. Cercavo di guardare coi miei occhi miopi e socchiusi, ma vedevo solo macchie di luce e colore, bagliori intensi e caldi che mi arrivavano obliqui sul viso. Guardavo, e mi giravo su un fianco, poi sull'altro, poi supina - mettendo le mani sotto la testa. Non sapevo come far passare quelle ore perché la giornata non fosse troppo lunga da vivere, dopo. E pensare non potevo, che pensare voleva dire tornare a quei sette anni là (altrove non avevo da attingere, non sapevo immaginare). Così un pomeriggio, andando a frugare nella biblioteca dei miei genitori, mi misi a cercare un tesoro: non sapevo che faccia avesse, un tesoro, né come lo avrei riconosciuto, e a dirla tutta nemmeno sapevo se un tesoro esistesse. Ma lo cercai, e mi ritrovai tra le mani un volume piccolo, grigio e polveroso, con le pagine penzolanti e trattenute assieme da un filo quasi consumato. Aveva un buon odore - come tutti i tesori. E aveva un nome: Pinocchio.
La mattina dopo lo tirai fuori da sotto il cuscino prima ancora che la luce arrivasse obliqua sul mio volto, quando ancora il fresco della notte era nell'aria e la stanza semibuia lo tratteneva a sé. Lo aprii, tuffandoci dentro il naso, poi toccandolo, poi - messi gli occhiali - aprii un mondo che non ho mai più richiuso. Ora il tempo non era più uno spazio da riempire; non era montagna da scalare e buche e fossi da evitare per poter sopravvivere ancora un altro po'. Ora il tempo era l'intimità acerba della mia prima felicità, era il battito del cuore lievemente accelerato. Il tempo era emozione, e quell'emozione era mia, e non faceva male non faceva paura. Ricordo di aver pensato, la seconda o la terza mattina che quell'incanto si ripeteva: ma allora questo non mi abbandonerà mai. Allora mi sentirò sempre così.
La donna che sono oggi risponde di sì a quella bambina: sì, mi sono sempre sentita così, tenendo un bel libro tra le mani. E la mia anima ha trovato la sua dimensione e la sua cura in tutte le ore rubate ad altro pur di leggere ancora un po', un altro capitolo una pagina ancora la fine del capoverso. E così via, per pomeriggi interi, in cui il mio tesoro la mia salvezza sono tenuti come filo d'aquilone tra le mani piccine di una bambina che continua a meravigliarsi.
V
lunedì 21 gennaio 2008
La mia caccia al tesoro, la mia salvezza
Etichette:
Emozioni,
Esperienze,
Letteratura,
Storie famigliari
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Vabbè, che dire? E' verissimo: quando si legge, si torna bambini, non ci avevo mai pensato! Un mondo che non conosciamo che si dipana davanti a noi. Come leggere questo post. Grazie.
Il solito bacio, preparati, ne riceverai tanti,è ineluttabile :-)
Anna
Sei ottima letteratura
Grazie ad Anna e Guccia per il calore e la dolcezza dei loro commenti.
Ricambio, ricambio tutto: baci e affetto e sublimi parole d'incoraggiamento.
V
Straordinario questo racconto,sono sempre belli i pensieri positivi.
Roberto
Posta un commento