mercoledì 2 gennaio 2008

Budapest: snow and tears

C'è stato un momento, ed è stato il momento di maggior casino, di rumore petardi e cori, il momento di scalpiccii furiosi sulla neve e risate, di bottiglie rotte e ubriachi, in cui tutto - all'improvviso - è stato silenzio. Nascosti gli occhi dietro la visiera del berretto di lana, la bocca dietro la sciarpa, le orecchie coperte dal bavero del cappotto e le mani nelle tasche, ho scansato di qualche centimetro la rotta che stavamo percorrendo, e non c'è stato posto per nient'altro che la visione. Nel momento esatto di massima entropia, il fotogramma dello spazio davanti a me si è composto silenziosamente e ordinatamente, creando uno spettacolo arcano e commovente, sacro e al tempo stesso profano nel suo luccicante sfavillio di ambra: i Bastioni, lassù, e Palazzo Reale; il Ponte delle Catene, sulla destra - e il Danubio che rifletteva tutto. Mi ha preso l'emozione alla gola, come una mano dentata, che a raccontarlo al mio rientro le lacrime colavano piano. Forse era la neve che scendeva, forse il freddo pungente che saliva dal fiume o il calore del fiato imprigionato dalla sciarpa, il senso di essere tutta dentro di me eppure fuori, la vastità e la prigionia. Quella bellezza intima e grandiosa mi ha spaccato il cuore, e le mie parole cedono giocoforza il passo al silenzio. Nell'istante in cui, in un solo sguardo, sono riuscita a far entrare tutto il paesaggio possibile, ho sentito, fisicamente sentito, Saffo che mi diceva, in un orecchio, "Stai, amico caro, e versa nei miei occhi l'incanto". Ed è stato amore.

Costui, che di fronte a te
siede vicino a la dolce tua voce
ascolta,
e il lieto sorriso, a me veramente
il cuore mi squassa il petto,
lo sguardo di un attimo
m'alletta la voce,
e la lingua si spezza, sottile
ma immediato un fuoco scorre nelle membra,
non più vista agli occhi, sibilano
le orecchie,
su di me scorre sudore, un tremito
mi possiede, e di un pallore verdastro
sono, la morte poco manca
che mi appaia...

V

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