lunedì 28 aprile 2008

Stupratori della memoria

Ci vogliono far credere che distruggere monumenti commemorativi sia uno scempio gratuito e ingiustificato, un gesto di inaudita barbarie. Ci vogliono far credere che un manipolo di giovani ed ignoranti bestie si aggira là fuori inneggiando il Duce e martellando, profanando, scoperchiando, insozzando e distruggendo - in totale inconsapevolezza.
Ce lo vogliono far credere, ma non è così. Martellare, profanare, scoperchiare, insozzare e distruggere non sono semplicemente le azioni sconsiderate e vigliacche di una gretta minoranza di bastardi.
Martellare, profanare, scoperchiare, insozzare e distruggere, oggi come ieri un monumento alla memoria o un cimitero, non è un gesto esclusivamente vandalico o spregiatore. Non è un'azione inconsapevole, ignorante o barbara. Non è uno scempio gratuito, né tanto meno ingiustificato.
Attentare all’integrità dei monumenti alla memoria - oltre ad essere un gesto di razionale, pianificato odio – significa intaccare e ferire a morte la storia di un popolo nel suo punto più vitale e vulnerabile: l'identità storica e sociale. Profanare la memoria (bene fragile e impaurito che non sappiamo più salvaguardare) significa gettare bombe a mano contro quella barriera che ci argina dagli orrori del passato, definisce gli insegnamenti del presente e ci permette di proiettare tremanti speranze nel futuro. Nel momento in cui questa barriera vacilla - ormai esausta sotto i colpi degli stupratori della memoria - gli orrori del passato rischiano di riversarsi nel presente, e il futuro chiudersi su di noi come un sipario nero ormai fin troppo logoro.
V

sabato 26 aprile 2008

L'antipatia del fuoriclasse (Nadal)

Oggi a Montecarlo, Rafael Nadal ha battuto il russo Davydenko con un imbarazzante 6-3, 6-2. In una giornata grigia e nemmeno troppo calda, l'animalesca potenza del tennista spagnolo ha fatto polpette del rassegnato Davydenko. E' stata una partita penosa (quattro o cinque i punti davvero ben giocati da Davydenko) e molte le prodezze dell'incontenibile spagnolo, baciato da un talento eccezionale, dalla potenza ben indirizzata dal fiuto e persino dalla fortuna, persino dalla rete, che in un paio di occasioni gli ha dato ragione in maniera sfacciata.
Impossibile non ammirare Nadal. E' bello, in un suo modo non misurato e non convenzionale. Ha muscoli che la pelle fatica a trattenere; nelle pause tra un break e l'altro, trema d'impazienza; ad ogni colpo di racchetta grida e ansima perché lui ci fa l'amore, con la terra rossa e la racchetta. Dopo i primi colpi, già sai che vincerà - come sai che il leone non avrà pietà sulla gola scoperta della sua preda. Affonderà i denti, e strapperà la carne. Impossibile non ammirarlo, non desiderare la sua potenza e la sua astuzia, i guizzi delle sue braccia e delle gambe. Dalla sua parte ha tutto: bellezza, bravura e fortuna. Ma non la solidarietà di chi lo guarda e di chi ipnotizza. Suscita venerazione, suscita brama. Ma non simpatia. La simpatia è un sentimento tra pari, e lui è un cacciatore solitario, che se ne sta là - piantato coi piedi nella terra rossa di cui è Re, e da cui esclude tutti (sudditi, nobili, consiglieri), circondandosi solo di ammirati spettatori della sua impareggiabile bravura.
V

mercoledì 23 aprile 2008

Scandalosamente autoreferenziale

Se ognuno di noi - scrive Cioran - confessasse il suo desiderio più segreto, quello che ispira tutti i suoi progetti e tutte le sue azioni, direbbe: "Voglio essere elogiato". Nessuno però vi si lascerà indurre, giacché è meno disonorevole commettere un abominio che proclamare una debolezza così miserevole e umiliante, nata da un sentimento di solitudine e di insicurezza del quale soffrono, con uguale intensità, i reietti e i fortunati.
Arrivata, con oggi, al centesimo post, mi concedo una pausa di scandalosa autoreferenzialità, pubblico una foto che recentemente mi è stata scattata da Samuele Silva e ringrazio di cuore Gian Luca per avermi attribuito il fatidico premio D eci e Lode, scrivendo di me cose bellissime: "Perché mi piace il suo modo di scrivere, perchè ad oggi ogni suo post mi ha arricchito e perchè è una bella persona. Ci sarebbero tanti altri che vorrei nominare, ma la lista sarebbe così lunga che sminuirebbe questo premio e so, inoltre, che chi leggerà il blog di Valentina capirà che se lo merita". Scandalosamente autoreferenziale, quindi.
Per annunciare che, a breve, traslocherò questo blog in un'altra e più personalizzata dimora.
Per tirare le orecchie alle mie blogo-zie Anna e Marina che mi hanno dimenticato, abbandonandomi alla più triste delle solitudini blogosferiche (Marina, nemmeno ti sei accorta che ho tolto la moderazione dei commenti, sciagurata!).
Per ringraziare Enzo Rasi di una piccola speranza che ci ha dato, scrivendo: "... dopo, riapro il cantiere". Ti aspettiamo.
V

lunedì 21 aprile 2008

Stanotte vorrei dormire tra le pagine di un libro

E' semplicemente una serata di pensieri approssimativi. O forse, non è poi così semplice.
Milano oggi mi ha accolto con un piovigginare stizzoso e un carico di notizie - come se dalla vita mi fossi assentata più di un fine settimana qualunque. Come se la vita avesse avuto il tempo di fare tre volte il giro del mondo mentre io ancora mi stavo allacciando le scarpe per uscire. Ed è una sensazione sgradevole, di orizzonti mutati e stagioni impazzite, notti con soli accecanti e giorni più neri del nero. Sono questi i momenti in cui la vita mi fiacca i coglioni con una manata portentosa che soffoca i pensieri, fa scivolare lacrime di rabbia. Presto risucchiate da pori onnivori, da pori cannibali e feroci.
Non ne resta traccia.
Stanotte vorrei aprire un libro e stendermici dentro, per finalmente dormire tra parole di altri, ed altre braccia.
V

venerdì 18 aprile 2008

Su e giù per i ponti di pietra

Capita: si perde la strada.
La musica m'infastidisce, mi infastidiscono le persone: le loro parole i loro silenzi. C'è una corda, nella mia anima, tesa come un ponte di pietra tra una sponda e l'altra, e suono quella corda di pietra con un archetto d'acciaio, un archetto affilato come un bisturi. Non intendo mollare questo ponte d'acciaio e di sangue. Non intendo muovermi di qui - finché non mi sarà passata, finché la rabbia si ritirerà come bava perlescente di lumaca. Consumerò queste pietre coi miei piedi (pelle contro cocci contro cemento scottante, fino all'usura), userò milioni di volte l'aria: bevendo e sputando e assaggiando, piegandola e stropicciandola dentro i miei polmoni, su su fino ai pensieri meno afferrabili. E urlerò, se è il caso, tirerò calci, sarò sgraziata e rozza. Sarò sola con me stessa, a fare del mio corpo violino suonato da un bisturi, carne che suppura e testa che si svuota. Non voglio altro: piedi che si consumano sopra un ponte, piedi liberi.
Passerà, lo so. Ma per ora, ho perso la strada.
V

giovedì 17 aprile 2008

A lezione da Flaiano

Nell'arco di ventanni, tra il 1950 ed il 1970, Ennio Flaiano si appuntò alcuni pensieri attorno alla politica, la fede, Dio e la tivù, la società, gli uomini e le donne, i viaggi e le diverse culture. Pensieri confluiti in una delle sue opere più rappresentative: il Diario degli errori. Flaiano è di una modernità straordinaria (come quando parla, ad esempio, dell'agonia marcescente del Festival di Sanremo o della colpevole superficialità dell'italiano medio, anestetizzato - oggi come ieri - dalla sua razione quotidiana di panem et circenses).
Ma tra tutti i pensieri, ne voglio citare uno che mi piace particolarmente, e che trovo adatto a questo periodo. E' un breve dialogo del 1967 che potremmo intitolare "Viviamo, grazie a Dio, in un'epoca senza fede". Eccolo:

Chi ti ha creato e messo al mondo?
Non lo so.
Non è Dio?
E' possibile. Ma siccome Dio ha creato e messo al mondo anche il ministro Mattarella e il ministro Andreotti, anzi sembra che la loro esistenza gli sia più preziosa e utile della mia, la cosa mi lascia indifferente.
Per quale fine sei stato creato?
Per dire di no.
A cosa vuoi dire no?
A te, principalmente.
Che cosa ti ho fatto?
Mi hai tolto la fede.
V

martedì 15 aprile 2008

Viva l'Italia, l'Italia che resiste

Mi spiace sentire di persone che si tappano la bocca, persone che vogliono fuggire, ritenendo che questo Paese non abbia più nulla da offrire - se non uno stupore sempre più amaro, sempre più impotente.
Chiedetemi se sono felice, e vi risponderò di no. Ma non sono disperata, non mi sento piegata. Ho letto molti post, da ieri sera ad oggi. E ci sono stati due atteggiamenti che più di tutti mi hanno infastidito - e questo senza voler esprimere nessun giudizio sulle sponde politiche da cui provenivano (che è anche la ragione per cui non li linko).
Da un lato, c'è l'atteggiamento di chi dice: fate schifo! E' l'atteggiamento di chi sputa veleno sulla maggioranza dando in escandescenze verbali che, francamente, ho trovato offensive e arroganti. Io non so dove stia la Verità di casa (e dubito anche che abbia un unico domicilio, per intenderci). Ma so di sicuro dove non sta. Non sta nell'offesa violenta dell'altro, del suo giudizio e della sua opinione. Offendere è vigliacco. Offendere è burino. Offendere, e alzare in maniera scomposta la voce, è degradante solo per chi lo fa.
Dall'altro lato, c'è l'atteggiamento di chi dice: me ne voglio andare! Ebbene: fatelo. Se vi è intollerabile questo Paese, se non riuscite più a sentirvi cittadini italiani, se capite che non ci sono margini di miglioramento, di lotta, di discussione, allora andatevene. Ma davvero, concretamente, con armi e bagagli. Non fosse che andarsene è difficile - e allora ci si accoccola nel proprio giardino, come serpentelli ciechi, e si aspetta: che qualcosa cambi. Perché il compromesso è quasi sempre più facile che una rigida coerenza. E passato l'attimo iniziale di cocente delusione, tutto infine torna come prima.
A me non piace quest'Italia che ha votato Berlusconi e la Lega, questo è innegabile. Penso, come ho scritto nel mio precedente post, che sia una vittoria volgare, la vittoria di tutto ciò che per me è non-valore, anti-etica. Ma sono qui e rimango qui, anche con un certo orgoglio, e sicuramente con gli occhi bene aperti. Queste elezioni, per la prima volta nella mia vita, mi hanno insegnato qualcosa di importante: ad esserci, a prendermi delle responsabilità, a credere in un principio che porta il nome di "bene comune". In cui credo. E che voglio, nel mio infinitesimale angolino di mondo e di coscienza, provare a costruire.
V

Viva l'Italia, F. De Gregori

lunedì 14 aprile 2008

Con Berlusconi ha vinto la volgarità


E non c'è nemmeno bisogno di spiegare il perché. Ha vinto la volgarità, la menzogna, l'apparenza e la mancanza di serietà. Il dramma è che hanno perso gli Italiani.
V

domenica 13 aprile 2008

Perché ho cambiato idea

Andrò a votare, come già avevo deciso di fare. Non solo: esprimerò una preferenza, cosa che fino a ieri pensavo non avrei fatto. E adesso questa scelta - che fino a ieri ritenevo impraticabile e avvilente - mi sembra invece l'unica possibile, l'unica davvero morale.
Non sono stata folgorata sulla via di damasco, non ho sofferto di tardivo ed incontenibile innamoramento politico. Non sono stata convinta nottetempo da un video elettorale scovato su youtube né da parole più sagge di altre che, in un modo o nell'altro, mi sono giunte fino alle orecchie. Ho semplicemente riletto una celeberrima poesia di Montale. Tutto è nato da lì: da una negazione, da un verso.


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Per la forza di quel 'non', ho deciso chi votare. E perché la pilatesca ignavia di lavarsene le mani - circondati da irraggiungibili ideali di purezza e perfezione - mi è sembrata, infine, la scelta più vile.
V

sabato 12 aprile 2008

Le quattro gonne di Anna Bronski

Io lo so dove sono: sono qui, in questi piedi che danzano e confusa tra mille molecole di una luce abbagliante. E anche se il mio corpo non c'è davvero, chi se ne frega. Io ci sono, in qualche modo - e sono la pazzia di Oskar col suo tamburo di latta, nascosta come il nonno sotto le fitte quattro gonne di una giovane Anna Bronski. Quattro, come i balzi dei miei piedi irrequieti; quattro, come i miei sorrisi.

Primo sorriso.
Ieri sera, guardandolo, non ho trattenuto una carezza. E' stata una carezza non pensata né voluta ma come dire - sbocciata, come un tic. E' nata nelle dita prima ancora che nella testa, e solo poi è diventata: reale.

Secondo sorriso.
Ho ricevuto una mail, stamattina, e la fotografia di un mare accecante e poche parole: "E' bello tornare a capirsi". In quelle parole, la dolcezza di un messaggio inatteso e desiderato - come quelle cose che non sai di desiderare fin quando non le hai tra le mani e pensi com'erano vuote le mie mani, prima.

Terzo sorriso.
A come mi hai afferrato il braccio, martedì sera. Di fronte a Le Trottoir (la testa fitta delle tante sere con Mara, negli anni a bere e fumare e tentare di parlare americano con gli americani, fallendo e ridendo e ballando), mi hai preso il braccio e l'hai stretto, avvicinandomi. Ho nascosto il viso dietro ai capelli, ma ho sorriso.

Quarto sorriso.
"Ricordi cos'hai detto anni fa, al Tenco?", non ricordavo, no. "Parlavamo di tradimenti, e io ti chiedevo se per te anche baciare significa tradire. Tu hai risposto: 'anche solo guardare è tradire'. Ricordi?" E, sì, all'improvviso ricordo. 

V

Mia nonna non portava una sola gonna, portava quattro gonne, una sopra l'altra. Non che portasse una gonna e quattro sottane; ben quattro cosiddette gonne indossava, una gonna portava l'altra, ma lei le portava tutt'e quattro in base a un sistema che ne mutava ogni giorno l'ordine. Quella che ieri era al di sopra, oggi stava subito sotto, e la seconda diventava la terza. Quella che ieri era ancora la terza le stava il giorno dopo vicino alla pelle. La gonna ieri più vicina al corpo faceva chiaramente mostra oggi del proprio motivo, e cioè di nulla affatto: le gonne di mia nonna Anna Bronski prediligevano tutte la stessa tinta, quella delle patate. Sembrava che le donasse.
G. Grass, Il tamburo di latta

giovedì 10 aprile 2008

Sognando il lungosenna

Amo questa fotografia di Cartier-Bresson perché esprime gioia. Gioia, orgoglio, spensieratezza. L'ho scelta perché la amo, e anche perché sto vivendo il mio periodo parigino (abiterò un mese a Parigi, quest'estate, in una mansarda sui tetti di Belleville) e ascolto Brassens, Jacques Brel, ed in particolare questa splendida poetica Amsterdam. Leggo e rileggo la Vargas per addormentarmi la sera (mi faccio prendere per mano da Adamsberg, e camminiamo ventosi sul lungosenna). Ripasso con un amico la grammatica francese, in vista di un suo esame, e riscopro l'asmatico piacere di ricordare, una dopo l'altra, tutte le eccezioni dei suoi verbi.
Questa foto di Cartier-Bresson è miracolosa, tanto più che il bambino ha i piedi tagliati e molto cielo sopra la testa: cielo, muri e persone, uno scorcio di strada, là dietro. E' felice, il bambino-bilancia che esibisce con orgogliosa sicurezza le due bottiglie. E anche io lo sono, a tratti, perché sento qualcosa come una pienezza dell'essere, un bastare a me stessa, una consapevole, dolce anestesia dal mondo. Non sento il mondo, non mi entra in nessuno dei cinque sensi; in compenso mi entra nei polmoni una straordinaria quantità d'aria, di sole e mare, di - quasi - felicità. E' una di quelle sensazioni che si disperdono con - troppa - facilità, ma nel momento in cui arrivano: commuovono per la dolcezza. Vedo trasparenti e lievi molte cose, in questo attimo calmo. E proprio perché so che non durerà a lungo, dico a quest'attimo ciò che disse Faust al suo: "Fermati, sei bello".
V

Pink Martini, Sympatique

mercoledì 9 aprile 2008

La vergogna (perdita della verginità)

Sabato sera dovevo avere un'aria da stupida. Io, con la mia sigaretta rétro fra le dita e il mio ancor più rétro martini cocktail accanto, ascoltavo Lorenzo e non volevo smettere di stupirmi. Nomi, facce e conoscenti: lui me li sciorinava come grani di un rosario e io pensavo non è vero. E, subito dopo: la mia ingenuità è un abisso di incoscienza. Perché scoprivo, oltre la cronaca dei quotidiani, oltre le statistiche, oltre la leggenda, che quel signore simpatico che ogni tanto mi offre da bere era stato dentro per spaccio, quel vecchio amico logorroico santifica ogni weekend pippando, tizio bruno & affascinante è costantemente fatto, e quel tipo che ammiravo per il suo 'bel carattere' si sveglia ogni mattina con una canna in mano e va a dormire su un letto di neve. Scoprivo, mettendo assieme i pezzi e per dio era vero, delle volte in cui mi si diceva "Vale, saliamo un momento a casa di L.", e tutti mi nascondevano il perché, e neppure mi sembrava strano. Quasi come se io fossi gli occhi di fronte a cui tacere, la coscienza chiara e fragile da non perturbare, la bambina stupida che non si deve distogliere dal suo stupore.
Ma sono cose di cui non sta bene parlare, e Lorenzo - coi suoi buoni occhi azzurri da amico - me le dice sussurrando, e mi sembra di notare una sfumatura di affetto in più, nel suo sorriso. C'è chi il sabato notte sballa e chi, come me, viene sverginato. E' il nuovo sabato del villaggio globale. Lorenzo mi osserva un attimo, poi mi accarezza la guancia con un dito. "Sei tenera, tu. Tutta chiusa nel tuo mondo, che rischia alla fine di essere anche un bel mondo". Si trattiene, poi conclude: "Mi piacerebbe essere ancora un suo cittadino". Apolide e sconcertata, da sabato vago tra le pagine di ogni libro per ottundere la vergogna di una verginità così tardiva e colpevole, per nascondervi il mio naso come struzzi nella sabbia ed evitare di guardare gli altri - che so già come li guarderò domani, e da domani in poi: troppe rughe attorno a quello sguardo.
V

sabato 5 aprile 2008

Le emozioni del Rockpoeta

Il Rockpoeta è venuto ad Imperia, ieri, per fare un reading delle sue poesie. Avevo conosciuto Daniele poco prima della Pasqua, ad un evento allegramente autoreferenziale come una BlogBeer. Ieri l'ho rivisto, completo grigio scuro ("La mia divisa da lavoro", mi ha detto sorridendo), e un po' di nervosismo nelle gambe mai ferme. In una storica libreria della città - quella dove ragazzina compravo i libri di testo, quella in cui ho nascosto seppellito le mie prime emozioni letterarie - Daniele "il" Rockpoeta ha iniziato ad interpretare alcune delle sue ultime poesie. Come questa, questa o quest'altra, intima e delicata, che quando la recitava - piano e pudico - quasi mi vergognavo di essere spettatrice di un sentimento così personale, così esclusivo. Ma le poesie di Daniele sono state, soprattutto, poesie di aspra denuncia, scritte su semplici pagine graffate ma - graffiate - sulle pelle come unghiate feroci, ferite strazianti. Ha messo in gioco il suo corpo, esposto i suoi occhi, interpellato ognuno di noi e se stesso per primo; ha vibrato e sussultato e infine placato al suono delle sue parole dei suoi versi, e le sue idee, le sue denunce, hanno saturato l'aria di dolore e bellezza.
V

mercoledì 2 aprile 2008

Il nuovo eroe (Caparezza)

Anche se non ne parlo granché, le prossime elezioni mi girano nella testa come cibo mal digerito. L'interrogativo (e di conseguenza il bivio che mi si prospetta) è questo: seguo il mio istinto che - duro e puro - mi incita a non votare, per non scegliere 'il male minore' (perché non è bello, non è giusto, e nei migliori dei mondi possibili sarebbe una sconfitta e un compromesso - e anche in questo); o abbraccio una posizione più saggia e disillusa e, come suggeriva Montanelli, entro nella cabina elettorale mi tappo il naso e metto una crocetta, quella che farà meno male al cuore? In coscienza, non lo so ancora. Credo che alla fine tutto si giocherà negli istanti in cui sarò in fila per votare, e allora, come in un'ispirazione selvaggia, saprò cosa devo fare. Forse.
In questa fase pre-elettorale vorrei solo che ci fossero delle opzioni, e che non mi dessero tutte il voltastomaco. Vorrei ci fossero campagne elettorali in cui la norma non è un generalizzato ed insulso 'dagli all'untore' in cui tutti indicano quanto l'altro sia brutto e cattivo e noi - tutti! - guardiamo come stolti il dito e non andiamo oltre. Vorrei che l'ormai troppo osannato Beppe Grillo (conterraneo che amo di default) la smettesse di urlare e versare bile su tutti, scandendo parolacce come avemarie di un rosario. Vorrei che al potere ci andasse qualcuno che non ha mai rubato mentito o accettato compromessi: come me, come un sacco di gente onesta che, nella vita, non ruba non mente non vende il culo. Ce n'è di gente così, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo. Vorrei che al potere ci andasse chi ha un'idea, chi ha un programma, chi ha negli occhi l'innocenza, chi è coerente e chi, in cuor suo, vuole il bene di molti. Una persona così, un politico così, non avrebbe bisogno di venirmi a dire dire quanto è figo, lui, quanto è sincero ed onesto e si sbatte per tutti noi. Non so voi, ma io non sono ossessionata - ogni santo giorno che dio manda in Terra - dal pensiero di convincere gli altri che sono buona sincera e non voglio inculare nessuno. Semplicemente: vivo, e in un modo che ritengo corretto. Agisco, e come meglio posso. Penso, e non do fiato alle trombe immaginando che tutti, intorno a me, siano degli imbecilli.
Questa gente no. Questa gente non è come noi, sicuramente non è come me, non mi rappresenta, e la mia incazzatura è tanta e pura (e dolorante geme) che mi è inevitabile pensare: non posso votarla, votarla è una sconfitta, una bruttura, un errore. Ma poi chissà, chissà quale volto del mio personalissimo Giano prenderà il sopravvento, quel giorno.
Io amo le storie come questa che racconta Caparezza: storie di straordinaria normalità, di un poetico banale lottare quotidiano, di profondissima umanità spesa strappando alla vita stille di linda onestà. Storie di dignità. Sconosciute, ma non per questo - anonime.
V