martedì 13 novembre 2007

Una felicità vibrante

Sono due notti che sogno il mio ultimo fidanzato. Nel sogno di ieri, lo contattavo per dirgli qualche sciocchezza che era solo pretesto. Gli permettevo, ancora una volta, di sbattermi il telefono in faccia e farmi del male. Nel sonno ero talmente incazzata con me stessa, e delusa dalla mia debolezza, che al risveglio ho dovuto andare a correre per smaltire l'adrenalina. Stanotte, invece, era lui a venire da me, nella mia casa di Milano. Andavamo sul terrazzo a parlare, e nel frattempo mi chiamava il suo amico del cuore (l'uomo di cui più sono stata gelosa, in passato, perché aveva da lui tutto ciò che avrei voluto per me stessa: attenzione, tenerezza, costanza e vacanze...), dicendomi di stare tranquilla, che Fabio mi avrebbe finalmente portato a Parigi e che per tutto il tempo della vacanza lui non si sarebbe intromesso tra noi. Ricordo solo di aver riso, e di avergli risposto che a Parigi con Fabio non ci sarei mai andata, che era tardi ormai. Nel sogno, un bell'uovo bianco, piccolo e grazioso, rotolava sul tappeto del mio cervello. Dolce dolce. E piano.
Ormai da qualche giorno sento nel mio corpo una sensazione di vibrante felicità; ogni cosa mi procura un'eccitante scossa a fior di pelle. Léggere, in primo luogo. Scrivere. E poi uscire, fare la doccia, guardarmi allo specchio, immaginarmi in un qualunque futuro... coltivare rapporti e crescere, scoprire piccole rughe, indossare un anello o mettere in ordine. Discutere, anche. Resettare rapporti e rivedere legami. Tutto, la totalità dell'esistere. E non è una felicità sorda, da stomaco pieno; non una sazia placidità. Sono ancora e sempre inquieta, mobile, instabile, insicura, paurosa e fuggente. Ma sono io come è l'aria tra i rami degli alberi millenari. Sto, e al tempo stesso vago. Cullo, e al tempo stesso scappo. Sono io con leggerezza, che è come immagino siano tutte le cose dotate di essere: sono. E questo gli basta.
Ho vissuto per anni in intimità con una castrante paura della competizione, con un'avvilente ansia da prestazione che mi tagliava le gambe. Per anni sono stata col culo per terra, perché alzarlo mi sarebbe costato troppo. Non solo, banalmente, troppo sbattimento, ma anche troppe energie che non avevo - nel frattempo impegnate a costruirmi una sicurezza, un volto, un'identità forte e autonoma. Per anni i miei bisogni emotivi da bambina abbandonata mi hanno risucchiato la vita, il desiderio, la speranza ed il futuro. Per anni ho passato pomeriggi interi sdraiata a letto con il mal di testa, e un'angoscia densa e non risolvibile.
Non dimenticherò mai quei travagliati pomeriggi nella mia stanza di Viale Papiniano, il rumore dei tendoni del mercato la mattina presto il martedì e il sabato, le voci cantilenanti dei commercianti e il silenzio ostinato del mio cuore. Non posso dimenticare la concitata sensazione che la mia vita non avesse un senso compiuto, che non ero all'altezza di viverla, la vita, che un baratro mostruoso stava risucchiando il mio presente. A nessuno ho permesso di avvicinarsi a quel grumo astioso e dolorante di impotenza e infelicità. Odiavo la mia vita, e le relazioni d'amore, che con facilità riuscivo a vivere e portare avanti, erano il mio particolare modo per non restare del tutto sola con me stessa. Ma a quegli uomini, poveretti, non ho mai dato nulla di me stessa se non il mio corpo e, a volte, il mio intollerante brutto carattere. Che pena, la ragazza che ero.
Se in un'immagine dovessi racchiudere quello che mi è rimasto di quegli anni, è il ritratto di un volto con gli occhi sbarrati e la bocca cucita, nessuna bocca, nemmeno labbra. Un volto senza voce e senza respiro. Oggi, invece, c'è un grande sorriso, più grande e più bello del mio reale sorriso, una porta spalancata su denti bianchi e regolari, occhi socchiusi e una girandola di colori e battiti di cuore.
Quegli anni sono stati ammalati, ma fecondi. Il mio sorriso non avrebbe questa qualità non consueta e non banale, se non avessi blindato la mia anima alla vita per tutto quel tempo. Forse è per questo che amo tanto gli scrittori russi: la sconfinata maestosità della grande madre Russia che tutto accoglie e tutto placa nel rigore ineludibile dei suoi inverni eterni; la lentezza non scandibile del tempo che rende immote le acque e gli animi; la saggia pazienza di una lunga gestazione che germina e procrastina. Tutto questo tempo, questa immensità, questa calma apparente hanno creato Guerra e Pace, hanno dato vita a Raskolnikov e a Cicikov, a Ivan Karamazov, figure esemplari e paradigmatiche di tutto ciò che può trovarsi nell'uomo.
Sono innamorata, lo ammetto.
Sono perdutamente innamorata della vita che per anni ho tagliato fuori. E' riduttivo racchiudere gli anni in una parola tanto breve e tanto rapida: anni di non vita hanno significato ore e minuti e attimi tutti uguali a se stessi, tutti con la stessa annichilente ciclicità, mattine in cui svegliarmi era un tormento insopportabile, e il sonno della notte - rimandato fino all'ultimo per non rischiare l'insonnia - momentaneo sollievo. Vuol dire essermi chiesta migliaia di volte se e quando qualcosa sarebbe cambiato, se e quando avrei avuto la forza, la fortuna o il coraggio di.
Ora sono lontana. Sono dentro me stessa. E' un pensiero che mi commuove, che mi meraviglia e che mi spalanca la bocca. Tutto il resto è solo accidente, l'essere è ciò che resta.
V

4 commenti:

Anonimo ha detto...

The dark side of the moon.
Uno di quei poveretti, uno di quelli che hanno avuto solo il tuo corpo, ha la presunzione di essere stato la persona che hai amato di più nella tua vita ("anche più dei..."). Ma come gli si ptrebbe dar credito? Poveretto, è così superficiale da non essersi neanche accorto di non aver avuto nulla da te...

"Per la stessa ragione del viaggio viaggiare". "Se oggi restasse oggi senza domani, o domani potesse tendere all'infinito". "Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans"

.... quel poveretto, sempre lui, è anche convinto che quegli anni siano stati molto più fecondi che malati: e per capirlo basta leggere qui. Se togli De André, Guccini e "quattro soldi di università" restano i cocktail, gli sguardi e un po' di euforia: resta "Sex end the city".
Ma invece ci sono e tu scrivi terribilmente bene. Sono felice per la tua oglia di vivere
E perdonami se ti ho portato via qualche minuto "con qualcosa di fragile come le storie passate".

My funny Valentine ha detto...

Ho pubblicato il tuo commento per due ragioni: primo, perché mi piace quando dici che, se togli i De André e i Guccini, resta solo Sex and the City; secondo, perché ho trovato godibilissimo il lapsus Sex END the City... una sorta di "Fine Serie" del sesso, terribilmente in tema, data la tua asperrima stoccata.
V

Anonimo ha detto...

Meno male che l'hai preso per un lapsus... Temo fosse ignoranza :-)

My funny Valentine ha detto...

Oscar Wilde: "L'ignoranza è simile ad un delicato frutto esotico; toccatelo, e la sua freschezza è sfiorita". Se lo dice lui...
;-)