domenica 4 novembre 2007

Le peggio domeniche

Le peggio domeniche sono come oggi: una giornata splendida nel suo sole autunnale, quei fastidiosi uccelli che fischiettano là fuori, ed io imprigionata qui dentro: in una Rete, un una foto, in una frase di incerta sintassi. E in più, a rosicchiarmi nuovamente le unghie. Il miraggio si allontana. Le frasi si spezzettano in un ritmo breve e asmatico, perché tra un punto e l'altro, una virgola e l'altra, devo avere il tempo di limare, mordere e abbreviare... Il risultato sono belle mani con unghie irriverenti.
Amo un uomo. Quest'uomo mi ama, forse, chissà, ma nemmeno lui lo sa.
Lui è a New York, ora. Mi ha scritto un messaggio quando è partito, gli ho risposto due giorni dopo: non cercarmi più, per me è finito tutto. Sono tre anni che lo amo, e nonostrante sappia che non è per me, che non mi farà felice come mai mi ha fatto felice, so, come so che oggi è una merdosissima domenica, che lo amo. Non è sensibile, non è dolce, non è delicato; è egoista, severo e intellettualmente scorretto. Ma ho iniziato ad amarlo per la chiarezza del suo sorriso, per la mascolinità del suo sguardo, per l'arguzia delle sue battute, per la sua sete di esplorare... e l'amore è rimasto impigliato nella mia anima come una poetica consuetidine. Non c'è stato nulla che lui potesse arrivare a fare o dire che mi spingesse ad azzerare questa consuetudine, a segnare un goal a suo svantaggio. Nel conteggio dei punti, è sempre stato il capocannoniere. Spiacente. Per me. E' un fuoriclasse, lui.
Ma arriva un momento in cui si deve barare. Forse è per questo che mi rosicchio le unghie, oggi. Perché per barare non è sufficiente ingannare gli altri: bisogna saper ingannare soprattutto se stessi. Credere nella manzogna come fosse la verità, e non aver rispetto della verità perché la verità, in fondo, non è che un'intepretazione, una direzione nello sguardo, un sistema filosofico. E il fatto mi innervosisce. Baro quando dico agli altri che sto "abbastanza bene", baro quando spiego a me stessa - con dovizia di ragionamenti e sillogismi - che è finita e perché. Ma non posso barare quando guardo allo specchio il mio dolore e ne riconosco il motivo, la trama. E' in nome di questo dolore che non voglio permettermi il lusso di continuare a sognare una storia senza futuro. Perché lui, come tutti, non cambierà: e quello che fino a ieri mi feriva a morte, continuerebbe ad uccidermi.
Oggi, domenica, lui tornerà da New York. Lo aspetto, ma non aspetto lui. Quando arriverà a Malpensa, ci sarà il mio pensiero a ciondolare nella sala d'aspetto, e ci sarà un benvenuto, un "ciao", un bentornato. Ora sei vicino, ora sei qua. A 300 chilometri di distanza, ma pur sempre qua. Sarò là con un'idea, con un sogno, con un alito di speranza: ma non ci sarò io ad aspettare lui. Non riesco a barare fino al punto da ingannarmi che il pensiero, stasera, non volerà da lui, verso il suo esser-ci, verso il suo respito nuovamente "in patria". Già il mio corpo si alleggerisce al pensiero che tornerà a casa, nel raggio d'azione della mia immaginazione, nel campo magnetico del mio sentimento. Il mio desiderio creerà curve ed ellissi attorno a lui, incresperà i capelli e scompiglierà la giacca; sarà un affetto sorridente, attraverserà Malpensa con gli occhi bassi e una cauta allegria nascosta nelle pighe delle labbra. Ci sarò, e questo basta. Stasera, mentre berrò il mio aperitivo in amicizia e mi guarderò intorno, io, a 300 chilomentri di distanza, gli dedicherò la mia più gioiosa nostalgia.
Domani, per fortuna, è lunedì. Un lunedì che immagino mattutino, terso e determinato. Uscirò di casa, di sicuro ancora assonnata e scontrosa, ma con quella beata sensazione di fresco sulle guance e sulle mani, di pulizia e sonno che cancella. Ci sono tante cose che voglio fare: vivere una vita senza domeniche, vivere una vita senza nostalgie, vivere una vita senza voltarmi indietro.
E per questo non ci sarà più posto per lui, nella mia vita.
Bentornato vuol dire anche: Addio.
V

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