giovedì 8 novembre 2007

Seta tra le gambe

Ieri stavo scrivendo un articolo di critica comparativa su un oscuro Francescantonio Grimaldi; ero accoccolata sulla grande poltrona del mio studio, portatile bollente sulle gambe incrociate, il manuale di storia della filosofia moderna sul bracciolo sinistro e la Vita di Diogene cinico su quello destro. Era un momento così, di concentrazione, di calma, e di un indecifrabile sorriso in faccia, sorriso di perplessità, suppongo, e di un certo solleticante disinteresse. Me lo sentivo stampato sulle labbra, il sorriso, e la cosa mi divertiva; sì, ero di buon umore nonostante "il" Grimaldi.
Tutt'a un tratto, mi si bloccano le dita, mi si impalla il cervello, e un nodo mi chiude la bocca dello stomaco.
Una visione.
Una stupefacente, invadente, potente visione.
Diogene il Cinico cade, ma c'è da dire che era già instabile. Io, invece, dopo mesi e tanti di silenzio e sordità e cecità e gelo, erutto. Per una sola visione. Per un ricordo, o meglio per un frammento di immagine che, da domenica, mi è rimasto impigliato nella retina, e ha fermentato ora dopo ora dopo notte e sogni e risvegli sempre uguali, fino a riversarsi con frastuono di onda in quel desiderio e in quella voglia che mi hanno assalito, sbaragliandomi, senza mancare il colpo.
Domenica è stata una serata strana, sdoppiata, un po' come il mio mercoledì, ieri: un muro di berlino tra una destra e una sinistra, tra un prima e un dopo, tra il gelo e il disgelo.
Ero con amici in questo minuscolo locale sul mare, caldo e rosso di luci radenti, scuro di parquet e piccola pista da ballo con tavolini di legno lungo le pareti. Bevevo il mio bicchiere di vino, e mi annoiavo passeggiando qua e là in silenzio, raggiungendo gli amici, facendomi riempire il bicchiere, uscendo a fumare (togli il cappotto rimetti il cappotto... senza soluzione di continuità, per ammazzare la noia e dare una meta alle gambe). In realtà stavo anche guardando un ragazzo che mi piaceva pigramente, ma io non ero convinta non ero nella parte. Lui, occhi spaventosamente azzurri e faccia bella, corpo minuto e capelli neri, girava per il locale con altrettanto fateless, e spesso ci trovavamo di fronte di lato di schiena o braccio a braccio, a frugarci fra i tratti del viso.
Ero fuori forma, sì, ma del tutto indifferente no.
Durante una sigaretta in compagnia, appena fuori del locale, vedo che lui s'infila la giacca, guarda due o tre volte attraverso la portavetri, esce e, passandomi al fianco, mi saluta, appena appena, ma sufficiente a farsi sentire. Ruoto su me stessa - il cappotto stretto al collo per ripararmi dal vento che mi butta i capelli negli occhi - e rispondo con una certa baldanza. I miei amici credono che io e lui ci si conosca, e non sanno che quel "Ciao" è frutto di una manciata di sguardi. Sale in moto, e va via.
Non so bene quale reazione tutto questo mi abbia creato; fatto sta che il suo ciao, o la sua fuga, o i suoi occhi, o tutto insieme o forse niente di tutto questo, mi ha fatto buttare l'ennesima sigaretta, togliere con decisione il cappotto e mettermi a ballare con i miei amici sulla piccola pista semibuia e, dopo qualche canzone di rodaggio, lanciarci a ballare sui tavoli, io, la Carletta, Lorenzo e un tizio di cui mi sfugge il nome (come dire: la differenza tra nameless e fateless non è acqua e, a meno che non si tratti del gatto di Holly, un nameless è anche e inevitabilmente un loser).
Il dj viene a bersi un bicchiere con noi; ridiamo. Gli facciamo i complimenti per la bella musica, gli dedichiamo un coro scherzoso (il suo cognome fa rima con qualcosa per cui tutti lo prendono in giro), lo circondiamo in gruppo e cantiamo per lui... ci fa allegramente segno con le mani che siamo un po' alticci, e ci sfugge per andare a fumare regolarmente fuori del locale. Noi sospiriamo, ci riprendiamo dalle risate un po' alcoliche, lancio un'occhiata alla Carletta e ci ritroviamo di nuovo in pista a ballare. Lorenzo si congratula con me per "la svolta" che sono riuscita a dare alla serata. Ce ne compiacciamo in due.
Nel girarmi a parlare con qualcuno che mi stava picchiettando la spalla, inciampo con lo sguardo nella consolle, e al posto del nostro dj c'è il proprietario del locale che mette i dischi in giacca e cravatta, tenendo la cuffia accostata ad un solo orecchio, e ha la testa piegata verso la spalla. Lo conosco ormai da un anno, ci siamo spontaneamente antipatici, ma per qualche ragione l'ho sempre trovato erotico in modo quasi doloroso: non certo bello, basso e magro, occhiali e capelli cortissimi, il suo viso ha un'aria totalmente attraente e scorbutica, al punto che ogni volta sono sempre consapevole di dove si trova, in quale esatto punto del locale, e il mio corpo contro voglia assorbe dal suo una specie di calore, di onda magnetica, di legacci sottili e impalpabili che mi irritano, mi indispettiscono e mi attraggono.
Ecco, questa è l'immagine che ieri, mentre cercavo di cavare sangue da Francescantonio, mi ha immobilizzato le dita, interrotto il respiro e riempito di un insinuante e liscio languore.
Durante il resto del pomeriggio non c'è stato spazio per molto altro che lasciarmi andare a quella fitta di desiderio che, inaspettatamente, mi ha colto in mezzo alle gambe; e l'immagine di Carlo alla consolle mi stringeva i fianchi in maniera talmente prepotente che l'unica fantasia che riuscivo a concedermi era quella di avvicinarmi a quell'uomo che mette dischi, alzargli la testa e mordergli le labbra, non delicatamente, non giocosamente, non astutamente: mordergliele e basta, respirargli addosso, sentire il suo alito, sfiorargli con la mano la cravatta ma non toccarlo, non lasciarmi andare, non lasciarlo andare tenermelo lì, nella nicchia scavata dal muro, tra un angolo e il banco, morderlo, tirargli il labbro e succhiarlo, e il fiato, respirarci addosso, scoprire lì per lì che l'antipatia latente non è che voglia, e il passaggio dall'odio al desiderio è un detonatore potentissimo, morderti, morderti fino a stancarmi dell'idea.
Ma chissà com'è, l'idea non mi stanca mai.
L'ho pensato, immaginato, rivoltato e indagato in ogni prospettiva e modo e luogo e tempo. Stamattina, quando mi sono svegliata, la fantasia non mi bastava più. Mi sono strusciata fra le lenzuola, sono scivolata nel letto come tra le sue braccia sul suo corpo, corpo di seta, corpo caldo e scivoloso come il desiderio, duro e implacabile e martellante. Era un desiderio fatto di occhi azzurri, di cravatte, di disgelo e di mani. C'è tutto, in questo desiderio: ci sono tutti i mesi passati a far decantare il dolore, a elaborare la fine di una storia infelice, a ricostruirmi una nuova identità ed un nuovo volto.
E' un'esplosione, ormai. Una lava che non smette di eruttare.
Non voglio più smettere di scrivere. Non voglio più smettere di immaginare questa fantasia. Voglio portarmi dentro, fra le cosce, tutta la smania che il mio risveglio ha rivelato. L'epifania di una sensualità che vuole essere raccolta e bevuta a piene mani.
V

2 commenti:

Daniele ha detto...

Hai definito questo post come quello di cui sei più fiera… e non c’è neppure un commento?

Eccomi qua io allora a scriverlo. Hai una scrittura potente, avvolgente e soprattutto che fa risaltare benissimo il tuo stato d’animo. In queste righe usciva il tuo desiderio, ed il crescendo del tuo desiderio, la forza del connubio mente/corpo, bello e insoddisfatto.

Kisses

My funny Valentine ha detto...

Ma grazie Dani, non sai quanto mi fa piacere leggere quello che scrivi.
Sì, era uno dei miei preferiti... ma alla fine mi metto nei panni di chi legge e mi chiedo anch'io cosa potrebbe mai commentare a questi post. Per fortuna ci sono persone come te che sanno cosa dire!
Un bacio a te!
V