domenica 11 novembre 2007

Merleau-Ponty e il chiasmo delle mani

Siamo arrivati davanti al nostro solito locale che tirava un vento freddo di mare. La Carletta aveva uno dei suoi tipici vestitini cortissimi e attillati, cintura bassa e giacca di pelle marrone. Era graziosa, come sempre. Come sempre, il suo naso si arriccia quando sorride, e gli occhi azzurri struccati danno un senso di simpatica allegria. Mi stava aspettando per la cena. La Cate, tutta in nero (capelli neri, occhi neri, vestito nero e piumino) ci ha raggiunto mentre aspettavamo le nove e mezza fumando. Giacomino si godeva il suo mozzicone di sigaro toscano lontano dalla sua teutonica fidanzata-robot, e i miei occhi vagavano qua e là, chiaramente indirizzati.
Sì, lo so. Dopo l'immagine eroticamente fulminante di domenica scorsa - Carlo alla consolle che mette dischi con la sua aria da maschiaccio - ho cercato di stordire le mie sensazioni con la definitezza apollinea e rassicurante della forma letteraria. Ho mangiato letteratura per stoppare i languori del mio stomaco esigente, e ho rigurgitato rassicuranti frammenti di cultura. Ma chi voglio prendere in giro. Ieri sera, prima di uscire, sono stata talmente disonesta con me stessa da mettermi addosso le prime due cose che avevo lasciato da giorni a penzolare sulla sedia, non prima, però, di aver provato mezzo guardaroba: abiti, gonne, autoreggenti, trasparenze e tacchi. Poi mi sono sentita ridicola (o insicura), e ho pensato che i sogni è meglio lasciarli ben chiusi a riposare dietro le palpebre, o al limite nelle parole sperse di un blog. Allora mi sono infilata un paio di vecchi jeans, un maglioncino nero girocollo e stilavali. Cappotto, e profumo. Credo che in parte fosse anche un gesto scaramantico: quando avevo conosciuto il mio precedente fidanzato, più di tre anni fa ormai, in agosto, io ero irritata con me stessa perché non avevo avuto voglia di lavarmi i capelli, ancora fatti di salino per la spiaggia del pomeriggio. Ma qui non si tratta né di fidanzati né di capelli: ognuno è, grazie a dio, al proprio posto.
Ceniamo e siamo in dieci al tavolo: si beve champagne, ne mando giù parecchio. Carlo sta mangiando lì vicino, mi dà le spalle. Carletta ogni tanto mi guarda e mi sorride arricciando tutto il naso: è l'unica a cui ho raccontato la mia fantasia. Mentre sono più le cose che lascio nel piatto che quelle che mangio - o al massimo, le divido con Lorenzo - Maurizio mi riprende: "L'altra, lì", e mi indica, "si veste sempre come se dovesse affrontare il gelo polare: accollata fino al mento, chiusa e impacchettata, che non si vede niente". Gesticola, e tutti ridono. Poi mi lancia uno sguardo penetrante e conclude: "Ah! Se io fossi te, vedresti cosa combino in giro!" Affermazione che, tutto sommato, decido di prendere come complimento.
Ogni tanto mi ritrovo a dare un'occhiata alla schiena che, in linea d'aria, si trova ad un metro e mezzo da me. La guardo, Carletta mi guarda, ridiamo, e decido di fare come per l'abbigliamento: una bella alzata di spalle, e poi chi se ne frega.
Il locale si riempie velocemente, e la serata trascorre tutta con noi del gruppo che, a turno, balliamo, salutiamo conoscenti ed ex, teniamo lontani personaggi sgraditi, e percorriamo i dieci metri del locale affollato per uscire a fumare. Attività che ci prendono molte ore in un rilassante niente di niente.
Ogni tanto guardo - quello sguardo indirizzato di cui parlavo all'inizio - e ogni tanto mi lascio guardare.

... E infine, mentre ritornavo da un giro fuori, nel percorrere il breve corridoio mi sono ritrovata faccia a faccia con Carlo. La gente era talmente tanta che non si riusciva ad andare né avanti né indietro. L'unica cosa che ho potuto fare è stata guardarlo, guardarlo dapprima con ironica curiosità (toh, chi si vede...), guardarlo poi con la nuova consapevolezza creata da ore e ore di fantasie e immagini (ecco l'oggetto del mio desiderio...). Ma fantasie e immagini riguardano me sola, sono state in questi giorni la mia ora d'aria, il mio carburante, il mio lusso e la mia trasgressione. Quello sguardo, invece, riguardava noi due. Era relazione.
Ci siamo ritrovati di fronte. Come sempre, senza dirci nessuna parola. L'ho guardato, in quell'immobilità calda fatta di corpi ammassati, l'ho guardato e subito ho pensato che, no, sarebbe stato umiliante continuare a guardarlo se lui avesse fissato lo sguardo in un'altra direzione: che so, dietro di me, di fianco, o anche in aria o per terra. Eppure, istante dopo istante, decidevo di rimanere lì, e scoprivo con fugace meraviglia che anche lui rimaneva lì, piantato in questi miei occhi, fermo, intenso.
Ho pensato che sarebbe stato umiliante se lui non mi avesse guardato; ma mi guardava, e la paura è diventata pudore. Mi sono sentita nuda, e senza volerlo ma volendo nascondermi, ho abbassato lo sguardo e deciso di provare a fare un passo in avanti. Impossibile. Perché nell'attimo in cui ho abbassato gli occhi, lui ha alzato la sua mano all'altezza delle spalle, e io mi sono chiesta, del tutto impreparata, cosa volesse quella mano. Forse un saluto silenzioso, un pat pat amichevole? Improvvisamente spaesata, ho alzato a mia volta la mano, quella sinistra vicino alla sua, e ho provato a fare un gesto di saluto (e pensando al tempo stesso che razza di saluto è tra due persone che se possono si passano a fianco evitando di parlarsi, ma sempre sotto fiuto l'uno dell'altro?).
Alzando a mia volta la mano, lui l'ha presa nella sua. Non l'ha stretta, non l'ha massaggiata, non ha tentato uno di quegli impacciati baciamano degli uomini senza fantasia. L'ha presa, e toccata. L'ha toccata, e accarezzata. E accarezzandomi - abbastanza a lungo da non potermi sbagliare sulle intenzioni di quel tocco - proseguiva il suo sguardo. Ho risposto a quella carezza, e le nostre mani sono diventate il chiasmo dei sentimenti contraddittori, di eleganza e animalità, di desiderio e fuga, silenzio e contatto. Erano mani toccanti e toccate, ma non semplicemente e banalmente perché la sua era toccante (ovvero, il principio del moto e dell'azione) e la mia toccata, soggiogata e agìta; erano mani che si toccavano elevate alla seconda, perché anch'io toccavo lui come lui si lasciava toccare da me. E' stato scambio di liquidi, umori e sesso. E' stato un sesso inaspettato e trasgressivo. Gli ho idealmente mostrato la gola in segno di resa, e mantenuto per il resto della serata il mio silenzio come segno di "altrove", closed, ma forse, al prossimo incrocio...
V

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