Dire che un uomo è pittore, fa il pittore, dipinge: è una cosa seria, non è vero? L'uomo dipinge, compone musica, scolpisce, e sono tutte attività serie, serissime, ma in realtà sono giochi di adulti, adulti che continuano a giocare e giocare, come la mamma che dice al suo bambino: "Finisci il disegno prima di cena" per toglierselo dai piedi almeno cinque minuti. E l'adulto gioca, per rimandare di altri cinque minuti la morte, il futuro, domani. Che domani, chi lo sa, potrebbe rompersi il giocattolo. Eppure lo facciamo tutti, di rimandare la morte in un modo o nell'altro.
Un uomo mi ha portato in una soffitta: era scura e bassa, con una finestra a mezzaluna che dava sulle luci della città di notte. Mi ha fatto salire le scale a chiocciola, senza toccarmi senza sfiorarmi. Sul soppalco un letto blu, il cuscino dava su un'altra piccola mezzaluna dorata e le pareti erano spoglie. "Volevo solo farti capire che, se vorrai, ci sarà questa possibilità", maniera splendida per dire e non dire.
L'ho fatto fermare sul penultimo gradino, gli ho messo le braccia intorno alle spalle, appoggiandogli la testa sopra. Anche un gradino più in basso, riusciva ad essere più alto di me e in quell'altezza mi piaceva perdermi, anche se non del tutto, che non era il momento, e chissà se lo sarà mai. Poi ho ripensato a quel letto tutta la notte, e per tutta la notte mi sono chiesta perché non ho voluto giocare, le fantasie alla fine sfibrano, e anche le parole e anche i sensi logorati sfibrano, alla fine. E quando ne abbiamo parlato, davanti a un bicchiere di vino, lui ha detto "Sei tanto intelligente che a volte sfiori la stupidità" e ha disegnato un cerchio con le dita della mano come a dire: gli estremi si toccano, e poi mi ha toccato, baciandomi lieve i polpastrelli.
C'è qualcosa, del gioco, che fa paura. Gadamer l'ha colto con esattezza, dicendo che il gioco è qualcosa di tremendamente serio, nel gioco è "in gioco" l'essere autenticamente uomo: giocare è una roba da grandi.
E in quella soffitta non mi sono voluta mettere in gioco.
C'è stato un abisso profondissimo che non ho voluto guardare, su quel letto blu scuro. Ho lasciato i miei occhi sui suoi cuscini bianchi, rotondi, belli, e talmente giocosi, talmente allegri... giocosi e belli e allegri fino allo spasimo. Per quello spasimo ho dovuto chiudere gli occhi, e affondare il viso sulle sue spalle.
La cura delle emozioni sfibrate e logore è solo nei gesti precisi e senza scampo: ma la mia testa riesce sempre a trovare una via di scampo, e affama il mio corpo, lo punisce, lo stanca. Ho un corpo ludico e una testa impietosa e tiranna, figlia e ostaggio di una paura panica e totalizzante. Ha ragione, quest'uomo. Il cerchio si chiude, tutto alla fine si rivela nel suo opposto, e ci sarà infine una battaglia che la mia testa perderà: per sfinimento.
V
martedì 5 febbraio 2008
Del gioco e della paura
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Giochiamo quindi Valentina e allontaniamo la morte da noi, rimandiamola ad occasioni più serie, a quando non tireremo più voluminosi testi di greco sulla testa dei nostri interlocutori. Mentre leggevo i tuoi ultimi due post pensavo al mio vocabolario di greco: un ponderoso Rocci che probabilmente ti avrei tirato dietro di rimando se fossi stato "la Silvia". E mi viene da ridere e dura poco però perchè io in quella soffitta mi ci sono accomodato, i gradini li ho saliti tutti e mi sono accorto che nemmeno così si chiude il cerchio della vita. Che gli estremi, dopo essersi toccati, rimbalzano via lontano, l'intelligenza non paga, non abbastanza da modificare il tratto col quale tracciamo il cerchio. "La cura delle emozioni sfibrate e logore è solo nei gesti precisi e senza scampo" dici tu ma sono sicuro che quei gesti non li fai o almeno non con precisione, è un gioco anche quello, una cosa seria. E' già la seconda volta che ti cito, la situazione sta trascendendo: dovrò preparare un piccolo prezioso libro di massime e citazioni tratte dal tuo testo base? Vado spesso il libreria, è una sensazione orgiastica, ma tra le tanti amanti che sono entrate e uscite dalle loro soffitte nessuna ha la tua "sfibrante" verità ( terza citazione). Fermo così.
Annego in tutte le tue parole, Enzo. Non so perché proprio tu, ma è una sensazione che ho provato fin dal tuo primo messaggio. E' come se tu fossi speculare eppure opposto rispetto a me, e quando hai parlato di soffitte ti ci ho visto, lassù. E quando mi citi, mi sembra di non riconoscermi; e quando mi puntualizzi sorrido: sempre.
Hai ragione: nemmeno così si chiude il cerchio della vita. Ma mi piace pensare che il cerchio si chiuda proprio dove non so farlo combaciare...
V
E per continuare lo show della mia "riscoperta profondità" ti dico: cara hai fatto benissimo!
Ma poi penso a quel che tu hai scritto: "il cerchio si chiude, tutto alla fine si rivela nel suo opposto, e ci sarà infine una battaglia che la mia testa perderà: per sfinimento."
E mi viene da dirti che il cuore, il cervello e tutti gli altri sensi a quel punto si metteranno d' accordo in diversa maniera, finora non è andata così perché non c' erano i presupposti per farlo. C' est la vie.
Baci.
Accipicchia... qui c'è un'artista delle parole! :-)
@ Inenarrabile. E' vero: cuore, sensi, carne e spirito e testa, tutto dovrà trovarsi in un'altra disposizione affinché qualcosa cambi, e vincere la guerra non sia questione di sconfitta del nemico ma di supremazia del vincitore...
@ Fabio: grazie, inchino e sorrido. (Anche se nelle tue parole ci leggo una puntina, non sgradevole, di sfottò)
:-)
V
Mi piace risponderti con le parole Italo Calvino La vita è un insieme di avvenimenti, di cui l'ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l'insieme.
Buona serata
Roberto
Posta un commento