sabato 1 dicembre 2007

La tenerezza e la bellezza

Da una settimana, ormai, sono soggiogata dall'inconsapevole dolcezza di due occhi timidi. Se la loro timidezza sia immaginata o reale, non saprei dire. Ma, come nel caso di Carlo, anche questa volta - più che l'evento - ciò che mi scuote è la bellezza di un'idea, tutta concentrata nella bellezza di un corpo: l'idea che si fa carne.
Non mi piace la bellezza negli uomini. Gli uomini davvero belli che ho conosciuto nella mia vita hanno sempre avuto un che di innaturale: sono uomini che, per la maggior parte, guarda sempre in alto, senza degnare di uno sguardo noi poveri esseri umani inferiori al metro e ottanta - e sì che la compagnia è grande. Guardare un simile personaggio è arido e deludente. Benché spesso siano uomini statuari, il paragone con le statue è improprio: la statua infatti sa porsi puramente alla vista emergendo nella sua nascente tridimensionalità, si lascia guardare velando e svelandosi, e creando uno spazio prospettico magico e intenso che lega tutti - spettacolo e spettatori - in un unico evento. Un uomo bello, al contrario, si ritrae alla vista degli altri pur vivendo per essere guardato. Ma il suo lasciarsi guardare è infecondo come il vecchio cimelio dei nonni tenuto chiuso nella vetrinetta del salotto buono, quello che nessuno abita mai. E' triste, appunto.
Questo ragazzo che da una settimana vedo è bello: niente di più che bello, ma anche niente di meno. Di un'altezza strepitosa, magro e spontaneamente elegante di modi, è giovane, è timido, è sensuale.
Ieri sono arrivata al locale, ho posato borsa e cappotto, e lui è passato accanto a me con una pila di bicchieri puliti in mano. Era serio. Bocca carnosa ma non stucchevole. Capelli spettinati, occhi accigliati e naso piccolino, corto. Ne stavo ammirando la perfezione quando lui, vedendomi, si ferma un istante, schiarisce tutto (un'esplosione di denti bianchi, occhi luminosi e una rete di brevissime rughe attorno alla bocca) e si ferma per salutarmi, darmi un bacio sulla guancia, mentre io gli tengo il braccio. E' una consistenza setosa di muscoli e carne, di calore e sangue. Il frammento di pensiero che rimane incastrato nei miei occhi, mentre gli tocco il braccio, mentre lui mi bacia, mentre i bicchieri chi se li ricorda più (e la Carletta commenta: "Era inutile che io gli dicessi anche solo 'ciao'!"), è che questo ragazzo - più giovane di me - non ha capito di possedere una bellezza franca e pulita che emoziona. E' ignaro, perciò la sua bellezza trasuda qualcosa che gli altri non sanno nemmeno di avere: la tenerezza. Non è una tenerezza di bambino o cucciolo (ho conosciuto ragazzi belli che già a 16 anni riuscivano ad essere fastidiosamente vuoti), ma è il disarmante potere che nasce dalla profondità, dalla tridimensionalità, dal mistero - e che non è mero fascino, non si identifica con una camicia nera attillata né in un certo modo di tenere la sigaretta. E' tutto questo, ed è altro che gli gira intorno, dietro, al di là, si intreccia si sovrappone e si incastra come una gemma che sorge dal suo stelo. E' come piega la testa quando parla; è lo sguardo di lato che non osa fissare; è la spontaneità di una timidezza attraente e un poco impacciata.
La tenerezza rende preziosa la sua bellezza.
In un certo senso, lui è rassicurante come un paesaggio di Jane Austen, ma vivifica quell'asessuata atmosfera british con un calore e una sensualità vibranti che lo rendono desiderabile oltre che bello e tenero. Racchiudo tutto il desiderio che lui mi evoca in una sola, ultima immagine: mentre ero in un angolo a parlare con qualche amico, mi volto verso di lui e, tra decine di teste, intravedo, dietro il bancone, il suo collo lasciato scoperto dalla camicia. Una pelle chiara, una linea limpida e netta che crea una curva di piacere fisico, e là - nell'incavo delle clavicole - una piccola collana brilla di luce ammiccante, canto delle sirene che mi ha intrappolato. Un sorriso sfuocato sta ai margini di questa visione, splendida cornice di un quadro d'autore.
V

Nessun commento: