I fatti sono evoluti con una rapidità incontrollabile. In una sera ho avuto tutto: l'incontro-evento fulminante, l'idea e la carne, le mani. Non so come sia accaduto, perché non avrei avuto il coraggio di farlo accadere; eppure, mentre c'ero, era solo una naturale estensione, fatta di pelle e respiro, dei miei post. Un frammento di vita più pensata che vissuta. Lui teneva gli occhi chiusi, e il riverbero della luce dei lampioni disegnava curve di stanchezza sul viso. Io lo guardavo, e seguivo con un dito il suo profilo; intanto mi dovevo dire che, sì, davvero ero lì con lui, e che l'aveva voluto lui e che lui era abbandonato tra le mie mani ad occhi chiusi. E che c'ero io, lì. Davvero.
Ma questa è già la fine del racconto. Cominciamo dal principio.
Vedendomi, quella sera, si è avvicinato, mi ha baciato le guance per la prima volta, e si è fermato finalmente accanto a me. Finalmente, per la prima volta, non è passato oltre dopo avermi incrociato; ma si è fermato, stabile, non esattamente di fronte a me, non di fianco ma di tre quarti, il viso rivolto avanti e il corpo a creare una specie di abbraccio immobile. Abbiamo iniziato a chiacchierare e fin dall'inizio è stata come l'apertura di una diga, una valanga di racconti, sensazioni, fatti e ricordi, di confidenze e di sciocchezze. Abbiamo trascorso un'eternità in mezzo al locale a parlare l'uno addosso all'altro, e a sussurrarci nelle orecchie per soverchiare i decibel della musica alta e per stare vicini annusare la sua pelle. Le parole che ci dicevamo erano in realtà un'accattivante rete di pretesti, perché nel giro di poche battute ci siamo ritrovati a dirci come ci saremmo contattati in futuro. Lui la prende alla lontana: "Potresti telefonare in ufficio e lasciare il tuo numero. Quando lavoro faccio filtrare le chiamate, ma se lasci il numero ti richiamo io". Arriccio il naso, non so, forse non mi piace molto l'idea, gli rispondo. Allora lui propone: "Prendi l'elenco del telefono, e cerchi il mio nome..." Rido come se fosse un'idea impraticabile, come se non possedessi alcun elenco telefonico. Ma lui si corregge subito: "E' meglio se prendiamo una scorciatoia", dice infine. "Ti lascio il mio numero di cellulare, così non ci sono filtri", e gli mostro tutta la mia più recitata sorpresa... Mi dice: "Aspetta qui", va in cucina, ritorna poco dopo e mi lascia tra le mani un cartoncino su cui ha scritto il nome e il numero. Mi allontano, e fremo.
C'è qualcosa nell'aria, una nascosta sensualità che sento fluire dalle viscere, che mi pervade e mi eccede. Niente mi sembra impossibile o incredibile, tutto è come deve essere. E' il beethoveniano das muss sein!, il destino che bussa alla porta, una necessità impellente categorica che si fa avanti con martellante ineluttabilità. La sento nella schiena, che lui più e più volte sfiora abbraccia accarezza, come per caso. Tende a chiudermi negli angoli, a bloccarmi la strada, ad allungare un braccio per sbarrare l'uscita: nessuno di questi gesti ha l'aria di essere deciso né di essere finalizzato a me. Sembrano gesti casuali, ed è durante una di queste trappole (lui mi impedisce di scendere dallo sgabello su cui sono, e mi ritrovo incastrata tra lui e il muro) che gli dico: "Un po' di settimane fa ti ho visto alla consolle che mettevi dischi in giacca e cravatta... Avevi una cuffia sull'orecchio, e tenevi la testa piegata sulla spalla. Quella visione mi ha emozionato". E' un punto di non ritorno, le carte sono date.
La mano vincente è quella di un uomo che alle 5 del mattino posa la sua guancia sulla mia accarezzandomi il collo. Tiene gli occhi chiusi, e il riverbero dei lampioni disegna curve di stanchezza. La sua bocca è tirata, taglia una ferita in mezzo al viso, e lo stupore di averlo qui mi fa toccare con dita leggere ogni suo tratto. Lui è immobile, ogni tanto dice una frase breve, e sorride; mi tiene le mani, e non c'è fretta, non c'è nemmeno una domanda e nemmeno una risposta. In questo c'è solo il presente, un attimo lungo ore e lungo carezze che non si danno l'assillo del domani, e nemmeno del dopo. E' difficile da spiegare e pure da capire, ma per me non c'è futuro in quella bellezza che ho bevuto. Come se il presente fosse già passato, questa notte ha realizzato tutte le sue potenzialità. Baciare quelle labbra - morderle, esattamente come avevo sognato di fare - mi ha del tutto appagato, lasciandomi quieta e sfamata. Lui, però, ha gettato un seme di futuro, uno piccolo, e problematico. Mi ha detto: "Scrivimi", e io: "Cosa vuoi che ti scriva?", "Che mi desideri..." Io lo ascolto, guardo i suoi occhi socchiusi e gli domando: "Davvero credi questo?", "Certo. Cos'altro? Tu non sei innamorata di me. Mi vuoi. E io sono qui". "Non vorresti esserci?", "L'ho scelto, ed è una cosa rara. Ma ci stiamo infilando in un casino..." Mi accendo una sigaretta e butto fuori il fumo prima di dire: "Perché? Tu vedi una progettualità in questo 'casino'?", ma non risponde subito. Infine dice: "Sì". Poi, in un momento di inattesa loquacità, aggiunge: "Vorrei portati fuori... Vorrei farti vedere i posti che mi piacciono, dove mi diverto lontano da qui, dove riesco a lasciarmi andare... E tu cosa vuoi?". Niente, sarebbe la risposta. Nient'altro che questo, e ora. Ma mi sembra una cosa inaccettabile da dirsi, una saracinesca abbassata sulle dita di una persona. Do una riposta simmetrica alla sua: "Vederti... ogni tanto", e mi chiudo nel mio silenzio fatto di lunghe boccate di fumo.
La poesia accade. Non è un fiore di serra, coltivato e alimentato a concime; è espressione della creativa fecondità della natura. La poesia ha reso quelle carezze reali lungo l'arco di una notte una rosa spontanea che stupisce per il suo odore caldo di petali maturati al sole. Un'altra volta la stessa carezza sarebbe un'altra cosa. Sarebbe l'appendice prosaica di un sogno nato e vegliato tra le pagine di un libro.
V
lunedì 3 dicembre 2007
Un'altra volta la stessa carezza
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2 commenti:
Che bello questo tuo scritto :)
E che strano che è questo tizio! ;D Prima non ha il coraggio di darti il suo numero o di chiederti il tuo, ma alla fine vorrebbe correre i 100 metri dell'amore! :D
Onestamente la tua reazione, il tuo tenerlo a distanza, è comprensibile, giusto o sbagliato che sia.
Caro Wolf, in effetti non abbiamo neanche fatto i 100 metri dell'amore... anzi! Nemmeno i 100 passi, per rimanere in tema. Ma i cento minuti, forse. E ti assicuro che basta e avanza!
;-)
V
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